Oggi tutti parlano di satira. Io sono l’ultimo arrivato, ma non per questo mi tiro indietro.

Stamattina sono stato indeciso, ma poi ho comprato Il Fatto Quotidiano di carta (sono abbonato alla versione elettronica e l’ho fatto solo per questo) perché era abbinato a Charlie Hebdo.Charlie Hebdo di oggi
Sarà che il mio francese è piuttosto arrugginito e ho fatto fatica a capire alcune battute (le altre non le ho capite del tutto e gli articoli testuali, per il momento, li ho proprio ignorati), però non mi è sembrato un granché, se escludiamo la copertina, che ritengo un vero capolavoro: Un maometto emozionato, con la lacrimuccia, che trasuda un’umanità e una bontà unica e la frase “Tutto è perdonato”. Dove non è possibilire capire chi perdona a chi: Maometto a Charlie, o Charlie a Maometto?

Ma, va beh! Sono contento di averlo comprato. Ho già detto che “mi dichiaro Charlie”.
E così come me, altre cinque milioni di persone hanno comprato Charlie Hebdo e oggi tutti parlano e scrivono di satira, anche quelli che l’hanno sempre detestata e combattuta.

Mi ha colpito sul Fatto Quotidiano una dichiarazione di Stefano Disegni, che della satira italiana è sicuramente un grande esponente (suona brutto dire così? Spero di no.). La riporto:
Ma non disegnerei mai Cristo in modo offensivo. …. Cristo non è un uomo ma un simbolo. Non ero a posto nei confronti di cattolici onesti, di preti poveri con i miei stessi ideali, perfino nei confronti delle vecchiette che giaculano in Chiesa per alleviare la paura da fine vita. E’ giusto fino al rischio attaccare gli uomini e le loro azioni, ma è stupido attaccare i simboli della ricerca spirituale, la stessa di cattolici, ebrei, islamici e… atei, ognuno a modo suo a cercare risposte, tutti spaventati dal viaggio nell’ignoto che è la vita, tutti sperduti su questa insensata palletta.

A parte che rifiuto questa diceria che anche gli atei siano alla ricerca della spiritualità, perlomeno non “questo” ateo; sono stupito da “…è stupido attaccare i simboli…”. Ma come? Se non attacca i simboli, a che serve?

Quando dice che si sente in imbarazzo, lo capisco benissimo: l’offesa non è bella e, se vogliamo, è anche ingiusta. Se tendiamo ad una società giusta, non possiamo toccare la dignità delle persone. Quindi dobbiamo cercare di evitare, o comunque contenere, l’offesa, affinché la dignità del bersaglio non sia lesa.

Ma il simbolo? Il simbolo, per sua stessa essenza, deve essere colpito proprio perché tale, tanto più quand’è simbolo di un ***ismo (fascismo, comunismo, cristianesimo, buddismo, islamismo, feticismo, opportunismo, ecc.). Un ***ismo è la definizione di un dogma o di un’ideologia, di un qualcosa di sacro ed inviolabile, una verità assoluta dimostrata dalla sua semplice esistenza e dichiarazione; e il simbolo è la sua bandiera (sia in senso stretto, che figurato).
E non conoscio nulla di più schifoso di un dogma o di un’ideologia.

Bakunin diceva che non poteva pensare alla rivoluzione senza le bandiere nere degli anarchici, che poi si sarebbero dovute distruggere dopo. Io ho sempre pensato che, finché fossimo andati a spasso con le bandiere, la rivoluzione ce la potevamo scordare (infatti la mia l’ho riposta nel cassetto molto presto e, poi, ci ho fatto uno straccio per la polvere).

I simboli sono la prima cosa da attaccare, secondo me. Non importa quanto siano grandi ed adorati, anzi soprattutto se grandi ed adorati. E l’esercito più adatto a queste battaglie è proprio quello dell’intelligenza e della satira, che per me sono sinonimi.

Poi, se qualcuno mi dice che il confine fra l’offesa e l’ironia è scivoloso e che è quasi impossibile irridere il simbolo, senza insultare il devoto …. Sì, capisco. Certo, forse molte volte è meglio trattenersi e reprimere la battuta tagliente che si ha sulle labbra, o sulla punta della matita.
Ma io non avrei mai detto che “… E’ giusto fino al rischio attaccare gli uomini e le loro azioni, ma è stupido attaccare i simboli …“.Questa rischia di essere la peggiore delle censure preventive (l’autocensura) e, comunque, avrei detto il contrario.

La satira è in realtà, proprio perché saldamente imbragata con la corda della risata, l’unica forma di espressione autorizzata a rischiare gli scivoloni su questo terreno così infido.

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